muoversi in forma informati...^.^

ATTIVITA' FISICA come stile di vita ^.^


domenica 21 dicembre 2008

_IPERTENSIONE ARTERIOSA_stressati ed ipertesi?


Per capirci:

L'ipertensione ha come base la misura della pressione arteriosa che esercita la sua funzione all'interno dei nostri vasi sanguigni, essa si distingue in pressione arteriosa diastolica, che in gergo sarebbe la "minima", e la pressione arteriosa sistolica che in gergo è detta la "massima", ma ricordiamoci che la Pressione è UNA, e si misura in mmhg(millimetri di mercurio).

I nostri medici giustamente ci dicono che l'importante è la minima, ed è vero nella maggiorparte dei casi, perchè è nella fase diastolica che arriva il giusto apporto di ossigeno e di nutrizione al nostro cuore, quindi più è alta la "minima" e meno efficiente risulta l'apporto nutrizionale per il cuore, che sappiamo essere la pompa che spinge il sangue in tutti gli organi.



I valori medi di pressione sono 120 mmhg per la massima o sistolica, 80 mmhg per la minima o diastolica, quindi se la minima supera il valore di 95-100mmhg, allora dopo vari accertamenti si può parlare di ipertensione. E' veramente CLAMOROSo il risultato ottenuto dopo LA SPORT TERAPIA,



Si può portare il soggetto anche ad abbassare di 10 mmhg la pressione arteriosa, con un piano adeguato e pianificato di attività motoria, seguita dal professionista del movimento, per fare un esempio se si aveva un valore di 130/100 si può anche arrivare ad un valore di 130/90, che significa tantissimo, soprattutto perchè si può evitare di prendere la PILLOLA ANTI-IPERTENSIVA, la quale una volta assunta, la maggiorparte delle volte deve essere assunta a vita.




Giusy Fortunata.







Ipertensione e Stress

L' ipertensione è un grave "epidemia" della nostra epoca.Colpisce silenziosamente arrecando danni importanti al nostro organismo. La medicina non ha trovato una causa di questa malattia, ma vari fattori di rischio, alcuni immodificabili, come la razza, la familiarità, l'età, il sesso. Altri modificabili, come l'obesità, la sedentarietà, il consumo eccessivo di sale, di alcool, il fumo, lo stress. È evidente che, se ai fattori immodificabili si aggiungono quelli modificabili, si può giungere più facilmente all'ipertensione, o, se si è già ipertesi, ad un aggravamento della malattia.In questa rubrica inizieremo parlando dello stress. Ogni rapporto che si stabilisce tra l'uomo e l'ambiente esterno suscita in lui una risposta.Quando però lo stimolo esterno supera certi livelli, questa situazione può risultargli sfavorevole. Gli stimoli possono essere i più svariati ed agire immediatamente o in modo protratto nel tempo. Esempi del primo tipo sono: forti emozioni, fame, freddo, traumi, malattie infettive, paure, ricordi d'eventi sfavorevoli. Persistenti sentimenti d'ostilità, competizione nel lavoro, problemi in famiglia, sforzi in cui è impiegato l'ingegno o la memoria nell'elaborazione d'operazioni di pensiero più o meno complesse; attività fisica sproporzionata alle pròprie abitudini o al proprio grado d'allenamento, rientrano invece nella seconda tipologia. Quando si percepisce lo stress, il sistema nervoso simpatico viene stimolato a dare una risposta del tipo "combatti o fuggì", in modo da preparare l'organismo all'azione. Vengono rilasciati ormoni, che accelerano il ritmo cardiaco e quello respiratorio; viene pompata una maggiore quantità di sangue ai muscoli e agli organi per fornire loro energia aggiuntiva.Lo stress mantiene in allerta l'attenzione dei guidatori, aiuta gli studenti ad eccellere e sprona i conncorrenti a vincere.Tuttavia, se prolungato, ha degli effetti dannosi, incluso l'innalzamento della pressione. Il fatto ad esempio che i neri americani ed i bianchi di scarsa cultura abbiano una maggiore incidenza d'ipertensione rispetto alla popolazione generale, è una prova dell'importanza dello stress come causa ambientale dell'ipertensione.Uno studio recente suggerisce che lo stress mentale non pressione, ma può anche provocare un ispessimento delle pareti arteriose, situazione gli attacchi cardiaci e le apoplessie.Alcuni ricercatori hanno sottoposto 901 uomini di età compresa tra i 40 e i 60 anni ad una serie di test studiati per indurre uno stress moderato. Prima della prova, vennero eseguiti suoni delle carotidi dei partecipanti che trasportano il sangue al cervello.Durante il test, i ricercatori misuravano elettronicamente la pressione e la frequenza cardiaca dei partecipanti. Coloro che presentavano i picchi pressori più evidenti in condizione di stress, subivano un maggiore ispessimento delle pareti arteriose, rispetto a coloro che presentavano incrementi minori dei valori pressori. Si pone quindi il pròblema di evitare il più possibile situazioni stressanti.
di Andrea F.Luciani da Città nuova

L'etna....tramonto innevato....


l'etna..innevata...colorata dal sole....

sabato 20 dicembre 2008

Andando verso Catania....alba chiara e raggiante...

infinitamente bello, ogni raggio di sole è come una carezza di Dio....

venerdì 19 dicembre 2008

posso allenarmi durante il ciclo mestruale?


ALLENAMENTO E CICLO
Durante il ciclo mestruale non esistono controindicazioni mediche alla pratica di qualunque sport, se non quelle dettate dal buon senso, occorre sfatare l’immagine della donna indebolita dalle mestruazioni, spesso le limitazioni sono dettate da freni psicologici. Il problema esiste solo in caso di forti dolori (dismenorrea) o di eccessive perdite ematiche (menorragia). La produzione di endorfine, indotta dall’attività muscolare, può essere di grande aiuto per contenere il dolore durante il primo giorno di mestruazioni, a tal proposito, consigliamo, per chi è abituato ad allenarsi, un lavoro più blando del solito e, per chi non si allena regolarmente, una passeggiata, anche in bicicletta, o esercizi di stretching e respiratori o anche una nuotata a basso ritmo in piscina. Per poter praticare tranquillamente un’attività sportiva, in questi giorni è necessario l’utilizzo di un assorbente interno, ma molte donne hanno ancora delle remore al riguardo, cosa che, per un’atleta, può rivelarsi un grosso limite. Le mestruazioni abbondanti creano sicuramente più problemi a chi pratica discipline di durata, dove una carenza di ferro o un abbassamento dei valori dell’emoglobina incidono in modo negativo sulla prestazione. In base ai dati statistici, si può affermare che le atlete più giovani, che ancora non hanno avuto figli e che praticano attività di lunga durata, sono molto più frequentemente soggette a fastidi di irregolarità nel ciclo. Le mestruazioni possono essere disturbate da: carichi di lavoro eccessivi con notevole stress fisico, calo improvviso del peso corporeo, forte stress mentale e psicologico. Il rapporto mestruazioni/performance è molto personale, ci sono sportive che hanno fatto il loro record di sempre nel primo giorno di mestruazioni, altre che in situazioni analoghe bucano sempre la gara ed altre che utilizzano la pillola per regolare e programmare il ciclo in funzione delle gare più importanti.
Nella programmazione degli allenamenti, può risultare utile, ad una donna, organizzare gli esercizi in relazione alle varie fasi del ciclo ovarico, che, per esempio, in considerazione dei tempi di rilascio ormonale, determina periodi in cui può essere vantaggioso un certo tipo di lavoro e situazioni in cui lo è un altro. Il ciclo ovarico, che viene indotto dagli ormoni dell’asse ipotalamo (zona del cervello che controlla diverse attività, fra cui quelle sessuali) - ipofisi (ghiandola endocrina, cioè a secrezione interna, che controlla l’attività di tutte le altre ghiandole endocrine), ha una durata media di 28 giorni.
Per un meccanismo di effetto di ritorno, è, a sua volta, l’attività endocrina delle ovaie stesse che influenza quelle dell’ipotalamo e dell’ipofisi. Possiamo distinguere, all’interno del ciclo ovarico, 5 fasi:
-fase mestruale, caratterizzata dalla presenza di estrogeni (ormoni che agiscono sullo sviluppo dei caratteri femminili e sul ciclo mestruale) e progesterone (ormone che ha la funzione di mantenere intatta la mucosa uterina durante la gravidanza e che favorisce, inoltre, l’impianto dell’ovulo;
-fase post-mestruale, in cui è presente l’ormone FSH (o ormone follicostimolante, è prodotto dall’ipofisi anteriore, nella donna ha la funzione di stimolare la crescita dei follicoli ovarici e di indurre la produzione di estrogeni con ciclicità mensile);
-fase ovulatoria, contraddistinta dagli ormoni FSH e LH (o ormone luteinizzante, nella donna regola l’attività delle ovaie sia dal punto di vista ormonale, sia per quanto riguarda la funzionalità degli ovociti);
-fase post-ovulatoria, con gli ormoni LH e progesterone;
-fase pre-mestruale, in cui, insieme all’ormone LH, vi è una notevole presenza di estrogeni e progesterone.
L’andamento ormonale del ciclo condiziona, nella donna, le capacità di prestazione, rendendo utile una pianificazione degli allenamenti in considerazione delle diverse situazioni ormonali.
Nella fase mestruale è consigliabile un lavoro leggero, in quanto l’abbondante eliminazione di sangue e quindi di ferro induce ad una condizione di anemia.
Nella fase post-mestruale, la presenza di FSH porta ad aumenti di attenzione, di concentrazione, di coordinazione e soprattutto di forza, è preferibile, quindi, un allenamento che sfrutti questa al massimo questa circostanza.
Nella fase ovulatoria è, invece, vantaggioso lavorare al miglioramento delle capacità aerobiche, in quanto ci si trova in una situazione in cui vi è la massima capacità del sangue a saturare l’emoglobina, fondamentale per il trasporto dell’ossigeno.
La fase post-ovulatoria, come quella post-mestruale, è caratterizzata da eccellenti condizioni di forza, ma anche psicologiche e mentali.
La condizione nella fase pre-mestruale è simile a quella mestruale, per cui è meglio non spingere al massimo, ma curare particolarmente l’elasticità muscolare e la mobilità articolare.
Alla luce di queste considerazioni risulta senza senso, per esempio, programmare una settimana di scarico in coincidenza con le fasi post-ovulatoria e post-mestruale o allenare la forza durante la fase mestruale; una attenta pianificazione atletica non può non tenere conto degli effetti ormonali e psicologici correlati alle varie fasi del ciclo ovario della donna.

praticamente stretching


Stretching

Cos’è lo stretching?Sicuramente avete sentito parlare molte volte di Stretching, ma cos'è esattamente e perchè è importantissimo per il nostro benessere? Il termine deriva dall’inglese “to stretch” (allungare, stendere) e indica tutti quei gesti naturali di allungamento e autostiramento che è importante compiere per prepararci all'attività fisica e cocluderla nel migliore dei modi.Quando può e deve essere eseguito lo stretching?Si distinguono 3 impieghi fondamentali dello stretching: lo stretching praticato come forma di riscaldamento che deve essere svolto in modo leggero e senza forzature; lo stretching eseguito nella fase di defaticamento ed utilizzato per facilitare l’assorbimento delle tossine indotte dallo sforzo limitando i fastidiosi dolori muscolari del giorno dopo, e lo stretching inteso come attività fisica autonoma.Quali sono i benefici dello stretching?Oltre ad ottenere un notevole incremento di elasticità di muscoli e tendini, aiuta a prevenire traumi e lesioni, a stimolare la lubrificazione articolare, a migliorare il sistema respiratorio e la circolzione. Rilevanti anche gli effetti positivi sul sistema nervoso, tra cui l’attenuazione dello stress e lo sviluppo della percezione del proprio corpo.E’ necessario eseguire un riscaldamento prima dello stretching?Si, é sempre opportuno preparare i muscoli all’attività fisica per evitare traumi e dolori. E’ sufficiente un riscaldamento generale, ad esempio qualche minuto di corsa a media andatura.Quali sono gli accorgimenti per effettuare correttamente lo stretching?Ricordarsi di mantenere ogni posizione per almeno10 secondi, di muoversi con naturalezza assecondando il proprio corpo e di scegliere sempre gli esercizi in base alle proprie capacità, senza esagerare.Quali sono gli errori più comuni nel raggiungimento delle posizioni di stretching? Raggiungere la posizione troppo velocemente o percependo dolore, trattenere il respiro durante l’esercizio, molleggiarsi, uscire dalla posizione di scatto.A che età si può iniziare a praticare lo stretching? A qualunque età. Infatti già intorno ai 10/11 anni i cambiamenti fisici tendono a ridurre la mobilità degli apparati muscolari e tendinei. Lo steetching é consigliato soprattutto a chi fa agonismo o anche ad altri?Lo stretching è adatto a tutti: aiuta chi fa agonismo a migliorare le prestazioni e a ridurre il rischio di infortuni, mentre chi non pratica altri sport riesce a combattere gli effetti dell'inattività.Chi invece non può praticare lo stretching? Lo stretching è decisamente sconsigliato a chi presenta lesioni a muscoli, tendini, legamenti e articolazioni. Il suo utilizzo nelle terapie riabilitative infatti avviene sotto stretto controllo da parte di personale specializzato. Qual è la frequenza di allenamento ideale?L’ideale sarebbe eseguire gli esercizi di stretching almeno 3 volte la settimana; praticarlo una volta ogni tanto infatti non porta alcun beneficio al nostro corpo.

ATTENDERE IN FORMA °_° SPORT E GRAVIDANZA



Sport e gravidanza

E’ possibile fare attività fisica durante la gravidanza?
Questa è la domanda che molte di voi future mamme si pongono,ed è per questo che abbiamo voluto dedicare a tutte le donne in dolce attesa alcune informazioni e consigli su questo tema, che potranno esservi utili in questo momento cosi meraviglioso e delicato.Come prima cosa ci teniamo a precisare che la gravidanza rappresenta uno stato fisiologico normale, ovviamente "particolare" ma non deve essere vissuto come una condizione patologica! Regola fondamentale durante questi nove mesi è l’uso del buon senso, in ogni cosa e così per lo sport. Una donna abituata a fare sport può serenamente continuare a farlo, a meno che non vi siano condizioni particolari indicate dal ginecologo (sofferenza del feto, condizioni che impongono riposo…) ovviamente limitando gli sforzi ed evitando tutte le attività che potrebbero essere rischiose per voi e per il vostro bambino. Chi invece ha sempre condotto una vita sedentaria non dovrebbe intraprendere da zero qualsiasi attività sportiva.Gli studi fin ora fatti a tal proposito, dicono che non vi sono dati che indichino se l’attività fisica rappresenti un vantaggio o una controindicazione relativamente allo sviluppo del feto e successivamente al travaglio e al parto. Quello che c’è di certo invece è che un’attività fisica, svolta in maniera corretta, aiuta a controllare il naturale aumento della massa corporea, mantiene una buona funzionalità cardiovascolare e dona una piacevole sensazione di benessere. Perciò anche se gli studi non lo dimostrano direttamente, è ovvio che se le dirette interessate si sentono in forma, sia fisicamente che mentalmente, il feto non potrà che trarne benefici!Quali sono le attività indicate?Come è ovvio sono fortemente sconsigliate tutte quelle attività che presentano rischi di infortuni, traumi e cadute che potrebbero avere gravi ripercussioni sul vostro piccolo. Consigliate invece attività di tipo aerobico di livello medio leggero. Questo almeno fino al quarto mese di gestazione. Per i mesi successivi, dato il maggior aumento della massa corporea e la conseguente mobilità limitata, lo sport più indicato è il nuoto. Anche se dopo i 4 mesi è consigliabile diminuire tutti gli sforzi fisici, potete comunque farvi una nuotata in tutta tranquillità. Infatti il nuoto, a differenza di tutti gli sport “antigravitazionali” (corsa, marcia…) svolgendosi in acqua è di tipo antigravitazionale e di conseguenza l’aumento della massa corporea non rappresenta assolutamente un problema.Una buona soluzione è seguire un corso di ginnastica specifico, che le future mamme possono cominciare a frequentare già dal quarto mese di gravidanza, sotto la guida di insegnanti specializzate.Questi corsi alleneranno il corpo a una migliore resistenza, al controllo del portamento e alle tecniche della respirazione (toracica e addominale) e del rilassamento, molto importanti durante il parto.Come svolgere l’attività fisica?Fate un prolungato riscaldamento e un defaticamento progressivo. Lo sforzo non deve mai essere eccessivo. Svolgete l’attività lentamente, intervallandola con momenti di riposo. Non dovete sentirvi spossate quando avete finito! Il vostro fisico, (anche se momentaneamente), non ha le stesse capacità di prima. Uno sforzo moderato non diminuirà l’afflusso di sangue all’utero, e come detto potrà regalarvi una piacevole sensazione di benessere. Quindi mai esagerare e appena vi sentite stanche fermatevi e magari concedetevi ad attività meno faticose come la lettura di un buon libro.
La ginnastica è utilissima anche dopo il parto; alcuni muscoli, soprattutto quelli addominali, andranno allenati in modo accurato, poiché hanno particolare bisogno di essere tonificati.

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mercoledì 17 dicembre 2008

CHE SIGNIFICA AVERE LESIONI MUSCOLARI?











Lesioni muscolari: prevenzione e rieducazione nello sportivo

24/08/08 292 letture SHARETHIS.addEntry
In ambito sportivo le lesioni muscolari acute sono di frequente riscontro in tutte le discipline sportive e la loro incidenza viene calcolata tra il 10 ed il 30% di tutti i traumi da sport.Non è compito facile pervenire ad una classificazione univoca delle lesioni muscolari, poiché diversi sono i criteri che possono essere presi in considerazione.È tuttavia opportuno precisare che non saranno prese in considerazione le lesioni muscolari conseguenti a ferite da taglio, punta, punta e taglio, fendente o arma da fuoco, anche se molto importanti per il medico legale. Parimenti, non verranno descritte le avulsioni, né le ernie muscolari e neppure le patologie tendinee, ma mi limiterò a trattare esclusivamente le contusioni muscolari e le altre lesioni muscolari che sono di più frequente riscontro nella pratica sportiva.
INTRODUZIONE





Nella pratica sportiva, il muscolo deve possedere qualità di forza, resistenza, prontezza, velocità ed estensibilità acquisite con un allenamento specifico spesso lungo e intensivo. Queste diverse caratteristiche sono basate su tre sistemi strettamente legati.
La struttura biomeccanica del muscolo (fig.1) (fibre di actina di miosina e aponeurosi di rivestimento) conferisce proprietà visco-elastiche e contrattili.
L’attività metabolica e i differenti tipi di fibre (tipo I, IIa e IIb) condizionano la potenza, la durata e l’inerzia dell’attività muscolare.
Il sistema neuromuscolare permette di regolare le attività volontarie, automatiche o riflesse intervenendo nel controllo posturale e gestuale proprio di ogni sport.
L’eccellente coordinazione e funzionamento di questi tre sistemi condizionano l’attitudine sportiva ed il livello di prestazione. Se, per incidente o cattiva utilizzazione, uno di questi meccanismi è leso, tutto l’edificio fisiologico crolla, comportando la sospensione dell’attività sportiva per un periodo indeterminato con ripercussioni molto negative per un buon allenamento.

CLASSIFICAZIONE DELLE LESIONI MUSCOLARI (1)

Un primo elemento da considerare nelle classificazioni è rappresentato dalla natura diretta o indiretta del trauma (Craig, 1973).
In tal senso si possono distinguere (Tabella 1):

• Lesioni muscolari da trauma diretto, che secondo l’interpretazione classica, implicano l’esistenza di una forza agente direttamente dall’esterno.
• Lesioni muscolari da trauma indiretto, che presuppongono l’azione di meccanismi più complessi, e chiamano in causa forze lesive intrinseche, che si sviluppano nell’ambito del muscolo stesso o dell’apparato locomotore.

Riguardo la diversa localizzazione delle lesioni muscolari, che sono definite dirette ed indirette, si deve precisare che, pur nella varietà delle sedi muscolari interessate, l’azione contusiva si esplica, di fatto, preferibilmente sulle masse carnose dei muscoli. Per contro, nelle modalità traumatiche indirette, la via lesiva si estrinseca più spesso in prossimità della giunzione muscolo-tendinea, pur essendo possibili anche localizzazioni a livello del ventre muscolare. In ogni caso, la conseguenza anatomo-patologica dei traumi muscolari, tranne che per la contrattura e lo stiramento, è rappresentata sempre da un danno anatomico della fibra muscolare, con frequente coinvolgimento della parte connettivale ed eventualmente tendinea e delle strutture vascolari. La diversità delle espressioni anatomo-patologiche e cliniche è data, quindi, dall’entità del danno strutturale prodotto dal trauma.
Lesioni da trauma diretto (contusione)
- grado lieve
- grado moderato
- grado severo
Lesioni da trauma indiretto
- contrattura
- stiramento
- strappo
- strappo di primo grado
- strappo di secondo grado
- strappo di terzo grado (rottura parziale o totale)
Tabella 1. Classificazione delle lesioni muscolari.

1. CLASSIFICAZIONE DELLE LESIONI DA TRAUMA DIRETTO
Le lesioni muscolari da trauma diretto sono di natura contusiva. Spesso queste lesioni sono considerate come condizioni patologiche di secondaria importanza, destinate a guarire in tempi brevi, senza lasciare reliquati.
Tuttavia dal punto di vista anatomo-patologico, la rottura muscolare prodotta da tali traumi non differisce sostanzialmente da una lesione muscolare dovuta ad altro meccanismo. Poiché, dal punto di vista funzionale, lo stato di contrazione muscolare conseguente al trauma provoca una limitazione dell’escursione articolare, dovuta ad una ridotta estensibilità muscolare, in accordo con Reid (1992).
La classificazione delle lesioni muscolari da trauma diretto, si può dividerle in tre gradi, secondo la gravità, indirettamente indicata dall’arco di movimento effettuabile:
1. lesione muscolare di grado lieve: è consentita oltre la metà dello spettro di movimento;
2. lesione muscolare di grado moderato: è concessa meno della metà, ma più di 1/3 dello spettro di movimento;
3. lesione muscolare di grado severo: è permesso uno spettro di movimento inferiore ad 1/3.

2. CLASSIFICAZIONE DELLE LESIONI DA TRAUMA INDIRETTO

Vi è una certa confusione nella classificazione delle lesioni muscolari da trauma indiretto, soprattutto a causa dei diversi termini utilizzati dai vari autori anche come sinonimi. Si parla, infatti, di: contrattura, elongazione, stiramento, distrazione, strappo, rottura, lacerazione. Tali termini si riferiscono, in ogni caso a gradi diversi di gravità, identificabili dalle diverse manifestazioni anatomo-patologiche e cliniche della lesione. Qui di seguito sono illustrate per sommi capi due delle classificazioni più significative, che servono come spunto per proporre una classificazione che presenti una sua immediata facilità di comprensione ed applicabilità pratica. La suddivisione in tre livelli di gravità delle lesioni muscolari è proposta dall’American Medical Association (Craig, 1973), secondo la quale una lesione di primo grado è dovuta allo stiramento dell’unità muscolo-tendinea che provoca la rottura di solo alcune fibre muscolari o tendinee; la lesione di secondo grado è più severa della precedente, ma non vi è interruzione completa dell’unità muscolo-tendinea; infine la lesione di terzo grado si configura come una rottura completa dell’unità muscolo-tendinea. Reid (1992) suddivide le lesioni muscolari in tre tipi come illustrato nella Tabella 2.

1. lesione muscolare da esercizio fisico (dolore muscolare ritardato)
2. strappo, di cui riconosce tre gradi (I,II,III):
I^ grado (lieve):
- danno strutturale minimo;
- piccola emorragia;
- guarigione in tempi brevi.
II^ grado (moderato):
- entità del danno variabile;
- rottura parziale;
- significativa perdita funzionale precoce.
III^ grado (severo):
- rottura completa;
- occorre aspirare l’ematoma;
- può essere necessario l’intervento chirurgico
3. contusione (lieve - moderata - severa)
Tabella 2. Classificazione delle lesioni muscolari, secondo Reid, 1992.

Muller-Wolfart (1992), distingue diversi gradi di lesione, a seconda dell’unità strutturale interessata: 1) stiramento muscolare
2) strappo delle fibra muscolare
3) strappo del fascio muscolare
4) strappo muscolare.
Secondo questo Autore, la differenza fra stiramento e strappo sarebbe di tipo qualitativo e non quantitativo; in pratica, nello stiramento non c’è mai rottura, anche se piccola, di fibre muscolari. Come si può notare, nelle proposte di classificazione che sono citate a puro titolo esemplificativo, gli elementi differenziali sono costituiti da alterazioni anatomo-patologiche ben definite. Le terminologie utilizzate hanno per lo più significati analoghi, e in tutte le classificazioni, vengono definiti gradi crescenti di gravità delle lesioni. A questo punto si propone una classificazione che ha la pretesa di essere chiara, pratica e semplice, e che al tempo stesso, tenga conto dei vari contributi presenti in letteratura. La classificazione perciò proposta distingue i traumi muscolari che originano da un meccanismo indiretto, in cinque livelli di gravità che vengono definiti:
1) contrattura
2) stiramento
3) strappo di primo, secondo e terzo grado.
I criteri adottati per distinguere i cinque livelli di gravità sono contemporaneamente di ordine anamnestico, sintomatologico ed anatomo-patologico.

1. Contrattura.
Si manifesta con dolore muscolare che insorge quasi sempre a distanza dall’attività sportiva, con una latenza variabile (dopo qualche ora o il giorno dopo), mal localizzato, dovuto ad un’alterazione diffusa del tono muscolare (criteri anamnestico e sintomatologico), imputabile ad uno stato di affaticamento del muscolo, in assenza di lesioni anatomiche evidenziabili macroscopicamente o al microscopio ottico (criterio anatomo patologico).

2. Stiramento.
È sempre conseguenza di un episodio doloroso acuto, insorto durante l’attività sportiva, il più delle volte ben localizzato, per cui il soggetto e costretto ad interrompere l’attività, pur non comportando necessariamente un’impotenza funzionale immediata, e del quale conserva un preciso ricordo anamnestico (criteri anamnestico e sintomatologico). Poiché dal punto di vista anatomo-patologico non sono presenti lacerazioni macroscopiche delle fibre, il disturbo può essere attribuito ad un’alterazione funzionale delle miofibrille, ad un’alterazione della conduzione neuro-muscolare oppure a lesioni sub microscopiche a livello del sarcomero. La conseguenza sul piano clinico è rappresentata dall’ipertono del muscolo, accompagnato da dolore.

3. Strappo.
Si manifesta con dolore acuto, violento che compare durante l’attività sportiva (criteri anamnestico
e sintomatologico comuni a tutti gli strappi), attribuibile alla lacerazione di un numero variabile di fibre muscolari. Lo strappo muscolare è sempre accompagnato da uno stravaso ematico (criterio anatomo-patologico comune), più o meno evidente a seconda dell’entità e della localizzazione della lesione e dall’integrità o meno delle fasce. La distinzione in gradi viene riferita alla quantità di tessuto muscolare lacerato (criterio anatomo-patologico) e comprende:
• strappo di I grado: lacerazione di poche miofibrille all’interno di un fascio muscolare, ma non dell’intero fascio;
• strappo di Il grado: lacerazione di uno o più fasci muscolari, che coinvolge meno dei 3/4 della superficie di sezione anatomica del muscolo in quel punto;
• strappo di III grado: rottura muscolare, che coinvolge più dei 3/4 della superficie di sezione anatomica del muscolo in quel punto e che può essere distinta in parziale (lacerazione imponente, ma incompleta della sezione del muscolo) o totale (lacerazione dell’intero ventre muscolare).
È importante sottolineare che, sul piano clinico, il confine tra stiramento e strappo muscolare di I grado è molto sfumato, specialmente in fase precoce, quando un eventuale stravaso ematico può non risultare ancora evidente. In tal caso, come si vedrà in seguito, la diagnosi deve fondarsi, oltre che sulle caratteristiche cliniche della lesione anche sulle risultanze dell’indagine ecografica, eseguita dopo 48-72 ore dal momento del trauma. È altresì importante sottolineare che la distinzione in tre gradi di gravità degli strappi muscolari non può essere che arbitraria, data la difficoltà pratica di quantizzare l’entità della lesione. Per semplicità vengono utilizzati solo tre gradi di gravità, ed il criterio adottato in questa circostanza, può essere definito come anatomo-patologico-funzionale.
Infatti, l’entità dello strappo di primo grado può essere facilmente apprezzata mediante l’ecografia, così come la rottura muscolare completa risulta facilmente identificabile. I problemi sorgono quando è necessario stabilire la gravità di una lesione “intermedia” che coinvolge più di un solo fascio muscolare, ma meno dell’intero muscolo. In questo caso si adotta un criterio definito anatomo-patologico-funzionale, che identifica lo strappo di secondo grado, come una lesione che coinvolge più di un solo fascio muscolare ma meno dei 3/4 dell’intera superficie di sezione anatomica del muscolo. Ciò significa che, nonostante la lesione, una buona parte del muscolo è ancora integra, il deficit funzionale è presente, ma non assoluto, ed il processo di guarigione può avvenire nell’ambito di un tessuto la cui funzionalità non è completamente compromessa. D’altra parte, quando il danno anatomico coinvolge approssimativamente più dei 3/4 della superficie di sezione anatomica del muscolo, la lesione è sicuramente imponente, il deficit funzionale è praticamente assoluto ed il processo di guarigione si deve instaurare nell’ambito di un tessuto la cui funzionalità è da considerarsi completamente compromessa. È interessante notare a questo proposito che è stato dimostrato che quando la lesione muscolare si estende per più del 50% della superficie di sezione anatomica, la riparazione avviene in non meno di 5 settimane (Pomeranz, 1993). È chiaro che l’entità della lesione, cioè la distinzione tra strappo di primo, secondo o terzo grado, può essere stabilita con buona approssimazione, solo grazie all’indagine ecografica.

Trattamento terapeutico e la rieducazione funzionale dell’atleta infortunato (3)
Gli AA. riferiscono sull’indirizzo terapeutico che seguono in caso di lesioni traumatiche in atleti. Sulla base della loro esperienza essi ritengono che per ottenere i migliori risultati, il trattamento deve seguire i tempi di guarigione fissati dal processo di riparazione e che soprattutto questo deve essere rispettato in tutte le fasi del trattamento.
Il trattamento fisiochinesiterapico dell’atleta infortunato ha come scopo di:1) limitare le conseguenze dell’azione lesiva sui tessuti interessati dal trauma
2) prevenire i danni futuri,3) restituire il più rapidamente possibile l’atleta alle competizioni nel rispetto dei tempi di guarigione biologica.Questi tre punti sono strettamente legati tra di loro e dipendenti dal trattamento attuato nella fase iniziale (24-48 ore).
Fase inizialeL’azione lesiva del trauma sui tessuti provoca edema, ematoma, fenomeni di vasodilatazione a livello capillare trombosi e costrizione arteriolare oltre, naturalmente, discontinuazioni del tessuto maggiormente interessato sia esso muscolo, tendine, legamento, tessuto fasciale od altro. Il trattamento quindi nella fase iniziale (prime 24-48 ore) si pone l’obiettivo di controllare l’entità delle manifestazioni in modo da limitare e circoscrivere il danno tessutale. E’ noto, infatti, che le manifestazioni che abbiamo poc’anzi descritto, specialmente i fenomeni d’edema e i processi riguardanti l’evoluzione ed il riassorbimento dell’ematoma causano se non trattati, la comparsa di fibrosi post-traumatica che dal punto di vista della funzionalità, è estremamente limitante.Il primo sintomo, il dolore, dev’essere combattuto in quanto superata la fase finalistica di campanello d’allarme, è di per sé fonte di patologia perchè mantiene e sostiene le alterazioni vascolari locali e lo stato di contrattura muscolare o di atteggiamento antalgico che spesso pregiudicano il processo di guarigione. Sul dolore si deve agire immediatamente diremmo quasi contemporaneamente al trauma con:a) infiltrazioni locali anestetiche (procaina, marcaina o simili)b) crioterapia (ghiaccio, compresse fredde, anestetici di superficie)c) postura correttad) elettro-terapia antalgica (badando o non provocare contrazioni muscolari); ionoforesi con sostanze analgesiche, antiflogistiche, antiaggreganti e fibrinolitiche.Il trattamento sul dolore deve influire anche sulla contrattura muscolare e quando tale fenomeno è particolarmente marcato si utilizzano le tecniche cinesiterapiche di rilasciamento.In questa fase iniziale, nell’impostare il trattamento occorre tener presente che non sempre l’entità del dolore è sintomo di gravità della lesione.
Fase riparativaIn linea di massima, superate le prime 24-48 ore dal trauma, si può stabilire esattamente l’entità della lesione e quindi programmare la fase di recupero durante il processo di riparazione.Questo può essere così sintetizzato: fra la 48a e la 72a ora la fibrina viene organizzata in modo da preparare le gittate vascolari, l’organizzazione e l’evoluzione dei blasti pluripotenti responsabili della neoformazione connettivale. Il trattamento dovrà tener conto dei seguenti fenomeni: l’edema e l’ematoma nelle prime 24-48 ore evolvono in modo da favorire l’organizzazione dei fibroblasti dal 3° giorno e questi portano alla neoformazione connettivale che avviene tra il 7° e il 15° giorno. Questi processi devono essere tenuti in considerazione nel programmare il trattamento perché condizionano la cicatrice a seconda degli stimoli che subiscono. Il tessuto di neoformazione, infatti, ricco di collageno è particolarmente sensibile alle sollecitazioni meccaniche che in questa fase possono modellarlo a seconda delle caratteristiche richieste dalla funzione. Sollecitazioni in trazione permettono un incremento dell’elasticità fino ad un massimo del 20% mentre un carico di 10-12 Kg per mm2 portano alla rottura delle fibre collagene. In questa fase quindi il trattamento fisiocinesiterapico deve rispettare il processo di cicatrizzazione, intervenendo esclusivamente per orientarlo secondo le caratteristiche delle strutture colpite. Dovremmo perciò cercare di ottenere una cicatrice elastica nel muscolo e invece solida nella struttura di trasmissione (tendini e apparato mioentesico) o di stabilizzazione (legamenti, capsula, fascie).Il trattamento quindi dovrà essere programmato secondo, i seguenti criteri.a) Nel muscolo esercizi graduali di allungamento prima passivi e poi attivib) Prevenzione delle aderenze che si ottiene mediante trattamenti fisioterapici:1) Ionoforesi che svolge un ruolo molto importante per la somministrazione di coktails anti
infiammatori, analgesici, con isoorientanti e fibrinolitici (5-15 mA per 15′-30′)
2) Ultrasuonoterapia che facilita la rimozione dei cataboliti (1′ 5-3 Watt/Cm2 per 10- 15 m’)3) Onde elettromagnetiche che migliorano la vascolarizzazione4) Onde elettromagnetiche atermiche pulsanti: è un trattamento ancora sub-judice, anche se le
prime impressioni sono positive, che integra le altre terapie e che ha come effetto il
miglioramento del microcircolo locale e di conseguenza del metabolismo del tessuto
traumatizzato.5) Idromassaggio e massoterapia dapprima distanti dal focolaio e successivamente, a seconda
dell’evoluzione, anche nella cicatrice comunque non prima del 10°-15° giorno.Questo trattamento va impostato dalla 48a ora al 15°-30° giorno a seconda dell’entità della lesione e della struttura lesa. E’ ovvio che i segmenti non interessati strettamente dalla lesione debbono continuare ad essere sollecitati secondo i moderni concetti del riposo attivo.
Il recupero funzionaleA cicatrice formata ed a stabilità articolare acquisita inizio il recupero specifico che si propone di ricostruire il trofismo muscolare, lo schema motorio e la forza muscolare. Per il trofismo questa fase si avvale degli esercizi di isometrica senza carichi ed in isotonia (concentrica ed eccentrica) con resistenze variabili da 2 a 5 kg. Naturalmente occorre considerare, trattandosi di atleti, che le condizioni di partenza di trofismo muscolare sono notevoli e quindi il lavoro di recupero dev’essere più intenso con numero di contrazioni elevatissimi (1000-2000 al di). Le sedute devono essere suddivise nella giornata per evitare un eccesso di fatica ai muscoli sollecitati e quindi la conseguente impossibilità a svolgere gli esercizi successivi.Per il recupero della forza, che si ottiene attraverso il carico in isometrica (6 secondi di contrattura massimale seguiti da 9 secondi di rilasciamento per 10 volte consecutive per 8- 10 sedute al giorno) si collaborerà strettamente col tecnico in modo da pianificare la preparazione all’agonismo, (secondi MulIer l’incremento della forza dovrebbe essere del 12% alla settimana fino al 75% della forza limite).Oltre al trofismo e alla forza muscolare è necessario che l’atleta recuperi lo schema motorio, in pratica l’esecuzione di massima coordinazione del gesto sportivo. Per questo fine sono indicati esercizi di recupero articolare assistiti (attivi e passivi) da svolgere contemporaneamente agli esercizi per il trofismo muscolare. A recupero articolare avvenuto e completo si utilizzeranno le tecniche di facilitazione propriocettiva che consistono nella stimolazione dei recettori periferici a varia localizzazione (fusi neuro-muscolari, corpuscoli tendinei e recettori articolari) provocando una facilitazione dei circuiti sinaptici da cui deriva una migliore capacità di reclutamento delle unità motorie. Le varie possibilità di contrazione utilizzate in terapia devono rispettare le condizioni di funzionamento del muscolo nella prestazione atletica in modo che il recupero del gesto sportivo sia il più rapido possibile. Questi indirizzi di trattamento permettono il recupero dell’atleta in tempi brevi, con minimo rischio, mentre l’osservazione dell’atleta sul campo permette di giudicare l’avvenuta guarigione e concedere il ritorno all’agonismo.
A questo punto dopo aver sviluppato sia la patologia che il trattamento riabilitativo delle lesioni muscolari, ho voluto approfondire la parte dell’allenamento eccentrico e della prevenzione dei danni muscolari.

ALLENAMENTO ECCENTRICO E PREVENZIONE DEI DANNI MUSCOLARI (4)

L’evento lesivo a livello muscolare, costituisce uno degli insulti traumatici più ricorrenti in ambito sportivo. L’entità della lesione può andare dal semplice stiramento, spesso associato a rottura dei piccoli vasi, con comparsa di dolore e tumefazione, sino allo strappo muscolare completo. Le conseguenze per lo sportivo, che appaiono ovviamente correlate all’entità della lesione subita, sono sempre comunque sgradevoli e comportano sempre una sospensione, più o meno lunga, dell’attività agonistica e l’attuazione di un’idonea terapia fisica.
Ma le lesioni muscolari possono essere correlate ad un particolare tipo di attivazione muscolare? Ed inoltre si possono mettere in atto delle strategie, per cosi dire “preventive” a riguardo?In questo articolo cercheremo di rispondere, anche se non ovviamente in modo esaustivo, data la complessità del problema, a queste domande, cercando, oltre che di fare chiarezza sugli eventi fisiologici che normalmente caratterizzano l’evento traumatico, di fornire alcune indicazioni di ordine pratico per cercare di mettere in atto un condizionamento muscolare il più idoneo possibile alla prevenzione, entro ovviamente certi limiti, di questo tipo di traumi.
Il danno strutturale della fibra muscolare può essere causato, sia da una singola contrazione muscolare, come dall’effetto cumulativo di una serie di contrazioni. In ogni caso, il meccanismo maggiormente correlato al possibile danneggiamento della fibra muscolare risulterebbe essere la contrazione di tipo eccentrico.

Contrazione eccentrica

La contrazione di tipo eccentrico è un particolare tipo di attivazione muscolare durante la quale il muscolo produce forza, anziché accorciandosi come durante il lavoro concentrico, allungandosi.Per spiegare in termini pratici questo concetto di meccanica muscolare, immaginiamo di tenere in mano con il braccio piegato a 90°, un manubrio il cui peso sia maggiore rispetto alla massima forza esprimibile dal bicipite, poniamo 60 kg. In questo caso, nonostante ogni sforzo, non può certamente flettere il braccio e portare il manubrio verso la spalla, abbiamo appena detto che il suo peso è maggiore della forza, anzi il braccio si distenderà verso il basso, proprio in virtù del grosso carico che è tenuto in mano. L’unica cosa che si è in grado di fare in questa situazione, è cercare di rallentare al massimo la caduta del carico, grazie appunto ad una contrazione eccentrica del bicipite. In questa condizione il muscolo funziona come un vero e proprio “freno”: più si riuscirà a rallentare la caduta del peso, maggiore sarà la forza di tipo eccentrico espressa.

Danno strutturale dovuto alla contrazione eccentrica

La ragione della maggior incidenza traumatica a livello muscolare, riscontrabile durante una situazione di contrazione eccentrica, è soprattutto imputabile alla maggior produzione di forza registrabile nel corso di quest’ultima, rispetto a quanto non avvenga nella modalità di attivazione di tipo concentrico od isometrico. Infatti, durante una contrazione eccentrica, effettuata alla velocità di 90° s-1, la forza espressa dal distretto muscolare risulta essere di ben tre volte maggiore di quell’espressa, alla stessa velocità, durante una contrazione concentrica. Inoltre, durante una contrazione eccentrica, risulta maggiore anche la forza prodotta dagli elementi passivi del tessuto connettivo del muscolo sottoposto ad allungamento. Soprattutto con riferimento a quest’ultimo dato, occorre sottolineare come anche il fenomeno puramente meccanico dell’elongazione, possa giocare un ruolo importante nell’insorgenza dell’evento traumatico, visto che quest’ultimo può verificarsi, sia in un muscolo che si presenti attivo durante la fase di stiramento, come in un distretto muscolare che sia passivo durante la fase di elongazione. Durante la contrazione eccentrica il muscolo è, in effetti, sottoposto ad un fenomeno di “over-stretching” che, in quanto tale, può determinare l’insorgenza di lesioni a livello dell’inserzione tendinea, della giunzione muscolo-tendinea, oppure a livello di una zona muscolare resa maggiormente fragile da un deficit di vascolarizzazione. E’ interessante notare come siano i muscoli pluriarticolari quelli maggiormente esposti ad insulti traumatici, proprio per il fatto di dover controllare, attraverso la contrazione eccentrica, il range articolare di due o più articolazioni). Anche la diversa tipologia delle fibre muscolari presenta una differente incidenza d’evento traumatico. Le fibre a contrazione rapida (FT), sono, infatti, maggiormente esposte a danni strutturali rispetto a quelle a contrazione lenta (ST), probabilmente a causa della loro maggior capacità contrattile, che si traduce in un’accresciuta produzione di forza, e di velocità di contrazione, rispetto alle fibre di tipo ST. Inoltre i muscoli che presentano un’alta percentuale di FT, sono generalmente più superficiali e normalmente interessano due o più articolazioni, fattori entrambi predisponenti al danno strutturale. Inoltre è interessante notare come l’insulto traumatico sia prevalentemente localizzato a livello della giunzione muscolo-tendinea, a testimonianza del fatto che in questa zona, come del resto nella porzione finale della fibra muscolare, avvenga il maggior stress meccanico. In ultimo occorre sottolineare il particolare aspetto metabolico connesso alla contrazione di tipo eccentrico. Durante la contrazione di tipo eccentrico, poiché la vascolarizzazione muscolare è interrotta, il lavoro svolto è di tipo anaerobico, questo determina, sia un aumento della temperatura locale, che dell’acidosi, oltre ad una marcata anossia cellulare. Questi eventi metabolici si traducono in un’aumentata fragilità muscolare ed in una possibile necrosi cellulare, sia a livello muscolare, che del connettivo di sostegno.

L’allenamento eccentrico come metodologia di allenamento muscolare di tipo “preventivo”

Considerando quindi il fatto che il muscolo si presenta particolarmente vulnerabile nel momento in cui sia sottoposto ad una contrazione di tipo eccentrico, soprattutto quando quest’ultima sia di notevole entità, come nel caso di uno sprint, di un balzo o di comunque un gesto di tipo esplosivo, nasce l’esigenza di “condizionare” i distretti muscolari maggiormente a rischio con un tipo di lavoro consono a questa particolare esigenza.Si tratta quindi di agire secondo una metodologia di lavoro che comporti la ricerca dell’instaurazione di un ambiente muscolare acido, condizione immediatamente seguita, senza soluzione di continuità, da una serie di contrazioni eccentriche rapide (definibili come eccentriche-flash) effettuate sull’atleta da un operatore, oppure da una contrazione eccentrica lenta e controllata (che potremmo definire come eccentrica-classica). L’acidosi muscolare può essere prodotta da una serie di scatti a velocità massimale, ancor meglio se effettuati su distanze relativamente brevi (20-30 metri) con arresto e cambi di direzioni immediati, in modo da ricalcare, nella biomeccanica di corsa, il più possibile il modello prestativo.


In tal modo il condizionamento muscolare è orientato verso un progressivo adattamento nello sviluppare contrazioni eccentriche rapide ed intense in condizioni di forte acidosi e di marcata anossia cellulare. Questo tipo di lavoro, come riportato nell’esempio 1, si dimostra particolarmente interessante per il bicipite femorale. Per provocare una marcata acidosi locale, del bicipite femorale, è possibile indurre quest’ultima attraverso un’esercitazione muscolare settoriale, come l’esercizio di leg curl, eseguito ad esaurimento muscolare completo, immediatamente seguito dall’esercitazione eccentrica.

Un altro schema di lavoro interessante, sempre a carico del bicipite femorale, è costituito da una serie di corsa calciata, eseguita ad alta intensità, con l’ausilio di bande elastiche, della durata di alcuni secondi, seguita da una serie di contrazioni eccentriche-flash (esempio 3) o da contrazioni eccentriche di tipo tradizionale (esempio 4). Ricordiamo che una serie eccentrica, definibile come di tipo “classico”, comporta l’utilizzo di un carico sovra-massimale (110%-120% del carico massimale) ed un numero di ripetizioni compreso tra 3 e 4, la fase eccentrica deve essere eseguita molto lentamente e naturalmente la fase concentrica deve essere effettuata grazie ad un aiuto esterno. Data la diversità della modalità di contrazione eccentrica tra il cosiddetto “eccentrico-flash” ed il metodo “eccentrico classico”, sarebbe buona norma adottare entrambi questi tipi di lavoro, al fine di ottenere un condizionamento muscolare consono ad entrambi i pattern di attivazione.


Lo stesso tipo di lavoro è proponibile anche per il quadricipite femorale , in questo caso dopo una serie di skip con resistenza elastica, è eseguita una serie di “eccentrico classico” al leg extension, oppure di contrazioni eccentriche “flash”


Questi esempi esercitativi, che naturalmente possono essere integrati o modificati, sempre restando in quest’ottica metodologica, possono quindi costituire sia un egregio lavoro di tipo preventivo nei confronti dei possibili danni muscolari, sia, ovviamente con i dovuti adattamenti, fornire una solida base di condizionamento muscolare per ciò che riguarda i piani di lavoro riabilitativo susseguenti ad eventi traumatici a livello muscolare.


















































BIBLIOGRAFIA
DR. GIANNI NANNI Isokinetic Centro di Riabilitazione per lo Sport, Bologna - Medico Sociale Bologna FC. 1909 - Attualità nel trattamento delle lesioni tendinee e muscolari dell’arto inferiore, Convegno 2000; http://isokinetic.com/.
DANOWSKI R.G., CHANUSSOT J.C. – Traumatologia dello sport, Masson, Paris, 2^ Ed. Italiana, 255, 2000.
I.J. Sports Traumatology 1:221,1979; riassunto a cura di A. Ruju e G. Monti.
TESTI M., BISCIOTTI G.N. In collaborazione con la rivista specializzata Nuova Atletica dal Friuli. http://www.benessere.com/.

mercoledì 10 dicembre 2008

nuovo gioco di squadra

regolamento offball
http://www.offball.com/public/foto.php
CAMPO DI GIOCO L’OFFBALL s
i gioca su un campo di 18 m di lunghezza e di 9 m di larghezza. Tale superficie è divisa in due quadrati ( 9x9) da una rete. L’altezza della rete varia in base alla categoria degli atleti. Ragazzi (11-15 anni m 2.10 (F) e 2.30 (M), mentre nella categoria superiore ai 15 anni l’altezza è di m 2.24 (F) e 2.43 (M). Su ogni metà campo e a m 7,80 dalla linea di centrocampo è tracciata un’altra linea che delimita la ZONA FRANCA dalla ZONA OFF. La linea di fondo campo è di 12 m. La ZONA OFF è costituita da tutta la superficie esterna (27 m ) di ogni metà campo. L’ OFFBALL si gioca con un pallone che deve avere la circonferenza di 64 cm e pesare 250 gr. SCOPO DEL GIOCO Scopo del gioco è quello di far fuori, togliere, per meglio dire ELIMINARE tutti i giocatori che si trovano all’interno della metà campo avversaria attraverso due diverse azioni di attacco: ATTACCO A RETE e ATTACCO OFF. Vince la squadra che per prima riesce ad eliminare tutti gli avversari. Non esiste punteggio. Saper LANCIARE E AFFERRARE la palla, riuscire a colpire gli avversari e quindi SCHIVARE tiri mirati costituiscono le principali azioni motorie di gioco. DESCRIZIONE DEL GIOCO In seguito al sorteggio si determina quale delle due squadre eseguirà la prima azione di attacco. Si dispongono i giocatori nelle metà campo, 9 per parte. La squadra in attacco ha diritto al massimo a tre passaggi (nell’OFFBALL la palla non va respinta ma, al contrario, afferrata con una presa salda) al terzo passaggio il giocatore, con un tiro veloce e mirato al di sopra della rete (ATTACCO A RETE), deve far toccare alla palla un qualsiasi punto del campo avversario, fatto ciò ” ELIMINA” l’avversario che non è riuscito ad afferrarla o quello che nel campo si trova più vicino al punto di caduta. Il giocatore eliminato deve obbligatoriamente lasciare il campo di gioco interno e trasferirsi nella ZONA OFF.del campo avversario, da questa zona, ricevuta la palla lanciata dai propri compagni può eliminare a sua volta colpendo (ATTACCO OFF) gli avversari costretti a questo punto a schivare la palla senza uscire dal campo. I giocatori via via eliminati possono, solo dopo aver ricevuto la palla dai propri compagni, circondare gli avversari utilizzando tutto il campo esterno di 27 m definito zona OFF e hanno a disposizione 10 passaggi per effettuare l’attacco OFF. DURATA DELLA PARTITA La partita è suddivisa in SET. Categoria giovanile: al meglio di 3 set su 5 Categoria superiore: al meglio di 4 set su 7 TIME OUT E’ previsto un tempo per ogni set, mentre saranno tre i minuti tra un set e l’altro. REGOLE E INFRAZIONI SQUADREOgni squadra è composta da un massimo di 13 giocatori. La partita è giocata da 9 atleti per squadra, in panchina possono sedere altri quattro giocatori Sono ammessi a seguire la squadra un allenatore, un medico, un dirigente, un massaggiatore. Presentato all’arbitro il referto non si possono iscrivere nuovi giocatori. Le sostituzioni possono essere realizzate in qualsiasi momento della partita senza avviso agli arbitri, Non si possono sostituire gli ultimi tre giocatori interni non ancora eliminati. Gli ultimi 3 giocatori interni devono essere eliminati solo con l’attacco OFF. Non è consentito lo schieramento in campo di una squadra con un numero di giocatori inferiore a 9. Il giocatore con tre falli viene espulso dalla partita. REGOLE E INFRAZIONI DELL’ATTACCO A RETE 1) L’attacco a rete è valido solo quando si esegue un solo stacco altrimenti è annullato in quanto considerato una finta. Il giocatore che effettua una finta è penalizzato da un fallo. 2) Si perde l’azione di attacco quando la palla non supera la rete e ricade nel proprio campo ( il giocatore che ha eseguito l’attacco errato è eliminato e passa nella zona OFF. 3) Durante le varie azioni a rete ( muro e attacco ) la rete non si può toccare con nessuna parte del corpo ( fallo di rete ). 4) E’ fallo d’invasione quando uno o più giocatori appoggiano tutta la superficie del piede oltre la linea di centro campo. 5) Si perde l’azione di attacco a rete quando i passaggi per costruire l’azione sono più di tre. REGOLE E INFRAZIONI DELL’ATTACCO OFF 1) La palla lanciata dai propri compagni di squadra può essere afferrata solo nella zona OFF di fondo campo. 2) Afferrata la palla, per effettuare l’attacco, si può utilizzare tutta la zona OFF di 27 m che circonda il campo avversario e, da quel momento, si possono eseguire fino ad un massimo di 10 passaggi. 3) E’ fallo quando un giocatore trattiene la palla per più di 5 sec ( in tutte le azioni di passaggio, attacco e difesa ) 4) E’ fallo d’invasione quando il piede o altre parti del corpo toccano o superano le linee di delimitazione di tutta la zona OFF. 5) E’ consentita l’invasione aerea con una o più parti del corpo tra il campo interno e la zona OFF e viceversa. 6) Nel caso in cui i giocatori sono sprovvisti di casco l’attacco OFF è valido dalle spalle in giù. 7) L’attacco OFF è valido quando la palla colpisce direttamente l’avversario o dal rimbalzo a rete. 8) L’attacco OFF non è valido quando la palla prima di colpire l’avversario tocca o sfiora il terreno di gioco. REGOLE E INFRAZIONI IN DIFESA 1) Nelle azioni di difesa: muro, copertura a muro, difesa del campo e in quelle di RICEZIONE OFF, il primo tocco è libero. E’ possibile, infatti, respingere la palla con qualsiasi parte del corpo. Il recupero può essere effettuato fuori campo dallo stesso come da un altro giocatore. 2) Nel caso di una palla difesa da più giocatori è eliminato quello che, per ultimo, non è riuscito ad afferrarla. 3) IL giocatore a muro è eliminato solo quando la palla da lui sfiorata cade al di fuori del campo interno. 4) Quando la palla, sfiorata dal muro, cade all’interno del campo, sarà eliminato il difensore posto più vicino al punto di caduta REGOLA DEI 10 SECONDI Nel caso in cui due o più giocatori sono equidistanti dal punto di caduta dovranno concordare entro 10 secondi chi di loro sarà eliminato, diversamente sarà l’arbitro a decidere e i giocatori verranno penalizzati con un fallo. ZONA FRANCA Non è consentito invadere la zona franca in tutte azione di giocoL’azione è annullata quando la palla tocca la zona franca. ARBITRI Gli arbitri sono due . Il primo arbitro posto in alto accanto a uno dei pali della rete, il secondo posto di fronte nelle vicinanze delle due ZONE OFF. Il primo arbitro ha il compito di dare inizio alle azione di gioco anticipandole con un fischio, segnala le infrazioni a rete, i falli di piede ( le linee del campo non vanno mai calpestate o toccate con qualsiasi parte del corpo. Il secondo collabora col primo e dirigerà le zone off. ALLENATORE Segue la parte tecnica dei propri atleti, dirige il riscaldamento, dà le indicazioni ai propri giocatori durante la partita. È il responsabile delle sostituzioni della propria squadra. Durante l’incontro deve restare seduto sulla panchina riservata alla propria squadra. Ha il diritto di chiedere i tempi di riposo durante i quali può dare indicazioni senza entrare sul terreno di gioco. Durante l’incontro non può contestare gli arbitri né chiedere spiegazioni. CAPITANO Al momento del sorteggio rappresenta la propria squadra. E’ l’unico autorizzato a poter colloquiare con l’arbitro al fine di chiedere spiegazioni e interpretazioni delle regole di gioco. In mancanza dell’allenatore può chiedere le interruzioni regolamentari e le sostituzioni dei propri giocatori. GIOCATORI L’equipaggiamento sarà dello stesso colore e uniforme.La divisa composta da maglietta e pantaloncini tipo ciclisti con ausilio di ginocchiere e gomitiere.Le scarpe senza tacchetti.La maglia deve avere dei numeri di 15cm d’ altezza e 2cm di larghezza sul petto, mentre sul dorso i numeri devono essere di 25 cm di altezza e di 2,5 di larghezza. Le due squadre devono avere le divise di colore diverso. Nel caso in cui si verifichi la coincidenza di averle dello stesso colore la squadra che ospita dovrà cambiarle. E’ vietato ai giocatori indossare anelli, spille, collane, orecchini, braccialetti e bende gessate.
Gioco di squadra con diritti d'autore con deposito alla SIAE (legge n. 633 del 22 aprile 1941 e successive modificazioni) SI AUTORIZZA L'ESECUZIONE DEL GIOCO. IN CASO DI CAMPIONATI UFFICIALI BISOGNA RICHIEDERE L'AUTORIZZAZIONE AGLI AUTORI asadit@tiscali.it
ESERCIZI DI DECOMPRESSIONE DISCALE PER PREVENIRE TRAUMI ALLA COLONNA VERTEBRALE

Il "mal di schiena" colpisce circa l'80% degli adulti ma solo nel 20% dei casi deriva da vere e proprie patologie vertebrali (Tabella).
Le cause generali dei dolori lombari sono:
- atteggiamenti posturali non corretti protratti per lungo tempo (vedi anche "Posture e movimenti del corpo che causano dolori muscolari e articolari");
- movimenti del corpo ed esercizi eseguiti in maniera non corretta;
- eccessiva tensione muscolare derivante da stress fisico e psicologico;
- scadente tono muscolare (addominale, lombare e dorsale);
- soprappeso.
Nei periodi di maggiore intensità dei carichi di allenamento, specialmente in vista di gare importanti, alcuni atleti lamentano sintomatologie dolorose localizzate nel tratto lombo-sacrale.
Salvo casi particolari di preesistenti patologie osteoarticolari, il dolore può derivare da:
- Insufficiente riscaldamento generale e specifico. Un buon riscaldamento permette di innalzare la temperatura del muscolo e di migliorarne nel contempo l'irrorazione sanguigna, il metabolismo e la elasticità. Quindi, oltre ad un maggiore rendimento, si possono evitare stiramenti e strappi muscolari. Aumenta anche il trofismo dei tessuti privi di vasi sanguigni (cartilagini articolari e dischi intervertebrali) per cui avviene una ottimale diffusione di liquidi e substrati nutritivi. Diminuisce anche la viscosità del liquido sinoviale delle articolazioni e, di conseguenza, ne viene migliorata la funzionalità in quanto le facce articolari scorrono più facilmente.
- Residuo di tossine e congestione muscolare derivanti da inadeguata esecuzione di esercizi di “defaticamento” al termine di ogni allenamento o da scarso recupero tra un allenamento e l'altro. Vanno anche evitati esercizi di "defaticamento" che imitano il gesto tecnico che ha comportato il sovraccarico in quanto, pur essendo funzionali per l'apparato muscolare e cardiocircolatorio, mantengono i dischi in compressione.
- Squilibrio di forza e di elasticità della muscolatura deputata al fisiologico allineamento tra colonna vertebrale, bacino e femori. Questi muscoli vanno rafforzati e nel contempo mantenuti elastici, con adeguati esercizi di potenziamento e allungamento muscolare.
- Insufficiente utilizzo di esercizi di stretching muscolare e mobilità articolare dopo ogni allenamento. Lo stretching allunga e decontrae i muscoli mantenendoli elastici, mentre gli esercizi di mobilità riportano l’articolazione ad uno stato di efficienza ottimale.
- Compressione continua delle colonna vertebrale durante e dopo l’allenamento. L’attività fisica intensa e le posture fisse (studiare, vedere la televisione, andare in macchina, ecc.) sovraccaricano senza soluzione di continuità i dischi intervertebrali determinandone un assottigliamento per deidratazione e compromettendone il ricambio nutrizionale. La nutrizione dei dischi, infatti, non avviene attraverso i capillari sanguigni ma con una azione di “pompa” (perfusione) che permette l’entrata e l’uscita di liquido. Grazie agli esercizi di scarico eseguiti a fine allenamento si ottiene una veloce reidratazione dei dischi e un afflusso di sostanze nutritive. Un discorso analogo vale anche per le altre articolazioni ove il carico fisso e prolungato ostacola il metabolismo, basato sul meccanismo di diffusione, della cartilagine ialina.
Al termine dell’allenamento vanno evitati quegli esercizi di “defaticamento”, anche se eseguiti blandamente, che imitano quelli che hanno portato al sovraccarico articolare.

Alcuni esercizi di decompressione discale














La metodologia è simile allo stretching:
- 6-8 secondi per andare in allungamento (lentamente);
- circa 60 secondi di mantenimento della posizione di massimo allungamento;
- 6-8 secondi per tornare alla posizione di partenza (lentamente);
- 6-8 serie totali.
Gli esercizi con una posizione del corpo parzialmente sollevata e sostenuta da apposito attrezzo prevedono, ove possibile, un tempo unico di allungamento e decompressione di circa 10 minuti.



POSTURE E MOVIMENTI DEL CORPO CHE CAUSANO DOLORI MUSCOLARI E ARTICOLARI

La colonna vertebrale presenta delle curvature fisiologiche a livello cervicale, dorsale e lombare (Figura) aventi lo scopo di sostenere e ammortizzare il carico della testa e del torace, degli eventuali sovraccarichi esterni e da quelli provenienti dall'impatto dei piedi col suolo. La colonna vertebrale, protegge anche il midollo spinale che si estende dalla base del cervello fino alle vertebre lombari (canale midollare) e dal quale si diramano i fasci nervosi che raggiungono gli organi e le varie regioni del corpo.
Ogni vertebra è collegata con l'altra grazie al disco intervertebrale, morbido all'interno e duro all'esterno. Il disco costituisce con le vertebre a cui è collegato una vera e propria articolazione, agendo anche come cuscinetto ammortizzatore.
Le vertebre cervicali sono in tutto sette. Presentano una curvatura verso avanti (lordosi) e hanno come caratteristica principale una notevole mobilità in tutti i sensi (flessione in tutti i sensi e rotazione). Sono quelle che subiscono maggiormente i carichi statici e dinamici del capo.
Le vertebre dorsali (o toraciche) sono dodici e si articolano con le costole del torace. Presentano una curvatura verso dietro (cifosi) e consentono, in maniera meno accentuata a causa della inserzione delle costole, gli stessi movimenti delle vertebre cervicali.
Le vertebre lombari sono cinque e si collegano con il bacino. Presentano una curvatura verso avanti (lordosi) e consentono principalmente movimenti di flessione e di estensione. Sono quelle che sopportano tutto il carico statico e dinamico della parte superiore del corpo (torace, arti e capo).
Le vertebre sacrali sono cinque, fuse in un unico osso chiamato sacro, uniscono superiormente il bacino. Terminano con le quattro vertebre coccigee.
I muscoli ed i legamenti tengono unite le vertebre e permettono alla colonna di mantenere costantemente la posizione eretta.



Malgrado una vertebra sia strutturata in modo tale da sopportare pressioni anche dell'ordine di 1000 kg, una percentuale altissima di persone accusa periodicamente stati dolorosi localizzati nelle regioni posteriori del busto.
In assenza di situazioni patologiche stabilizzate (deformità congenite, anomalie strutturali, infiammazioni degenerative, intolleranze alimentari) il dolore cervicale, dorsale e lombare è causato principalmente da:
- posture errate protratte per lungo tempo (attività professionale, guida auto, televisione, lettura, ecc.).
L’eccesso di peso corporeo può contribuire all’insorgenza del dolore in quanto alla postura errata comporta un carico ulteriore sulle vertebre e sulle articolazioni;
- rigidità o scarso tono della muscolatura inserita sulla colonna vertebrale. La prima può essere dovuta anche allo stress psichico che fa assumere atteggiamenti contratti a varie regioni del corpo. La seconda dipende essenzialmente dal sedentarismo e, quindi, dalla perdita di forza muscolare.

Forza agente sulla vertebra L3 (soggetto di 70 Kg di peso)
(da "Basi biomeccaniche nella prevenzione dei danni alla colonna lombare durante
esercizio fisico" di Zatsiorskij V.M. e Sazonov V.P. - Atleticastudi n. 3-4 1988)


Posture e sollecitazioni sulla colonna vertebrale

Il tratto della colonna vertebrale cervicale e dorsale, oltre ad essere molto sollecitato dall'attività normalmente svolta, particolarmente dalle posizioni assunte per un tempo prolungato (Figura) per cui viene esercitata una trazione sulle radici spinali e sui rivestimenti nervosi (in posizione di flessione) e una possibile compressione dell'arteria vertebrale (in posizione di estensione), subisce anche la trazione esercitata dal peso degli arti superiori sull'area che congiunge la regione cervicale con quella toracica.
Se la curvatura risulta meno accentuata di quella fisiologica ci troviamo di fronte ad una situazione di indebolimento dei muscoli lombari ed il dolore compare soprattutto in posizione di flessione del busto in avanti e nella posizione seduta.In questo caso gli esercizi di ginnastica devono tendere al rafforzamento della muscolatura posteriore dell'addome e dei muscoli della coscia che tendono a portare il bacino in antiversione (flessori della coscia).Nella postura tenuta per lungo tempo è consigliabile assumere la posizione seduta, su sedia rigida munita di apposito supporto lombare (Figura) ed effettuare attività di moto in ogni occasione della giornata.Durante il riposo a letto la posizione migliore è quella di fianco, con le gambe leggermente flesse.

posture corrette





















Esempio di posture che sollecitano
costantemente il tratto lombare















Il sollevamento e lo spostamento di carichi

Il sollevamento da terra di un peso deve adottare alcuni aspetti delle tecniche proprie della disciplina del sollevamento pesi, ovvero la massima possibilità di estrinsecare forza con il minimo carico sulla colonna vertebrale. Pertanto vanno evitate posizioni che vedono il busto inclinato o inarcato e gli arti inferiori distesi, pena un carico lombare notevole (Figura).
Per effettuare un corretto sollevamento ci si deve avvicinare al peso quanto più possibile, piegare le gambe e, mantenendo il busto esteso e quanto più perpendicolare al terreno, afferrare il peso e, tenendolo aderente al corpo, portarlo in alto utilizzando la forza degli arti inferiori che si estendono (Figura). Durante tutto il movimento i piedi devono rimanere ben poggiati a terra su tutta la pianta, evitando movimenti di torsione del busto. Se l'oggetto è pesante non andrebbe portato oltre l'altezza del bacino.
Nello spostamento di un oggetto di grandi dimensioni (es.: frigorifero, lavatrice, mobili, ecc.), anziché spingere posti di fronte, si dovrebbe spingere posti con la parte posteriore del busto in appoggio totale (dorso e lombi) sull'oggetto, utilizzando la sola forza di estensione degli arti inferiori (Figura).
Anche nel trasporto di bagagli è preferibile portare simmetricamente due valigie o borse, una a destra e una a sinistra, quindi raddoppiare il carico sulla colonna vertebrale, che comunque risulta distribuito uniformemente, piuttosto che trasportare un bagaglio con una sola mano, situazione che sollecita enormemente la muscolatura paravertebrale del lato opposto e la cui contrazione di bilanciamento crea dei carichi ulteriori sulle vertebre (Figura).

sabato 6 dicembre 2008

EDUCAZIONE MOTORIA E SOGGETTI DIABETICI

sport-terapia per SOGGETTI DIABETICI

Il diabete (livelli di Glicemia > 126) si distingue in due tipi:
TIPO I ; colpisce i giovani a causa di malattie del Pancreas che non produce più insulina
TIPO II ; colpisce gli anziani, soprattutto se in condizioni di sovrappeso e obesità
Questi ultimi sono il target delle nostre lezioni di educazione motoria.
COS’E’ IL DIABETE DI TIPO II?
Nei soggetti di TIPO II il diabete non è dovuto alla mancanza di produzione di insulina da parte del Pancreas, bensì dalla non-azione della stessa insulina che non riesce ad entrare nelle cellule perché queste si sono "ristrette", non permettendo la sua azione al loro interno. Tutto ciò dipende dalle condizioni di sovrappeso del soggetto, per cui la perdita di peso è fondamentale per la metabolizzazione del glucosio, ma da sola serve a poco; integrando la dieta ad una attività fisica, che aiuta "l’allargamento" delle cellule, si può fare in modo che l’insulina torni a fare effetto.
L’ATTIVITA’ MOTORIA PUO’ RIDURRE IL DIABETE?
Per rispondere a questa domanda basta portare l’esempio degli indiani PIMA, popolazione pellerossa che sfiorava l’80% di soggetti obesi (il 70% di loro era naturalmente diabetico) al suo interno. Ebbene dopo averli convinti a tornare a condurre una vita selvaggia, muovendosi nei campi, cacciando per sfamarsi ecc…, e a seguire una dieta "mediterranea", dopo un periodo di tempo il tasso di diabete è risultato pari allo 0%!!
Se questi decidessero di ritornare a consumare patatine fritte, coca cola, hamburger ecc…, il tasso di diabete ritornerebbe entro poco ai precedenti livelli.
SINTOMI DIABETE TIPO II:
· Stanchezza continua
· Elevata orinarietà a causa dell’alta presenza di zucchero nel sangue
· Cure attraverso Cortisone possono dare insulino-resistenza
CURE PER IL DIABETE DI TIPO II:
* Pillole (non eliminano né riducono il diabete, bensì aiutano a "tirare avanti")
*
Attività fisica di tipo aerobico (bastano 2h 45m alla settimana, cioè circa 30 min di passeggiata continua al giorno)
*
E’ consigliabile 1 bicchiere di vino rosso a pasto (contiene un principio che aiuta la cura)
CONTENUTI EMERSI DURANTE IL 2° INCONTRO
IL SOVRAPPESO E L’OBESITA’
I parametri per determinare il grado di obesità non possono limitarsi solo alla constatazione del peso corporeo, bensì si devono considerare anche l’altezza e la struttura fisica del soggetto. Un metodo per individuare lo stato fisico di una persona è l’applicazione del B.M.I. (Body Mass Index) o Indice di Massa Corporea, che si calcola tramite una semplice equazione:
B.M.I. = Peso (Kg) / Altezza (m)^2
I risultati ottenuti vanno comparati con la seguente tabella:
> 40
Sovrappeso di 3° gradoGrave obeso
30-40
Sovrappeso di 2° gradoObeso
25-30
Sovrappeso di 1° gradoSovrappeso
18,5-25
NormopesoNormale
< 18,5
Sottopeso Magro
Per cui, una volta determinato se il soggetto è o meno obeso, prima di fargli svolgere una qualsiasi attività motoria vanno considerati i seguenti fattori:
*
L’obeso ha forti limitazioni motorie
*
Il grasso è distribuito in zone diverse del corpo negli uomini (addominale) e nelle donne (sacrale)
*
Gli uomini, accumulandolo nella zona addominale, sono più a rischio di scompensi cardiovascolari, indipendentemente dall’altezza del soggetto.
CARATTERISTICHE DEI DIABETICI DI TIPO II:
Chi è affetto da diabete di tipo II normalmente oltre che essere sovrappeso (più o meno gravemente) presenta le seguenti caratteristiche:
1.
E’ un soggetto iperteso
2.
Ha valori di trigliceridi più alti del normale
3.
Ha ipertrofia vascolare
4.
E’ più soggetto ad arteriosclerosi (causata dall’ispessimento delle arterie)
5.
Va incontro all’osteoartrosi (dovuta al peso che contribuisce fortemente all’usura delle articolazioni)
6.
Ha una respirazione anormale, causata dall’ipossia, che li manda costantemente in affanno (l’eccessivo peso pressa le vie respiratorie che non hanno la migliore funzionalità)
Per cui la condizione essenziale che permetta loro di condurre una vita normale è la perdita di peso, visto che, come abbiano notato, questo è la causa di tutte le caratteristiche elencate.
METODOLOGIA DI LAVORO PER L’ATTIVITA’ FISICA A SOGGETTI DIABETICI:
Prima di proporre un’attività motoria dobbiamo considerare che il soggetto:
ü Ha scarsa tolleranza allo sforzo
ü Ha una respirazione affannosa
ü Ha una mobilità articolare limitata
Il lavoro che si andrà a proporre dovrà essere, per i fattori sopra elencati, molto al di sotto della soglia anaerobica, in modo che si eviti l’affaticamento muscolare e i problemi di respirazione.
Dobbiamo per cui far lavorare a bassa intensità ma per lungo tempo e costantemente (2-3 volte a settimana). Durante la seduta la loro Frequenza Cardiaca deve essere sempre al di sotto del 50% della loro F.C. massima (si calcola tramite l’equazione F.C.max = 220-età del soggetto).
Un consiglio pratico:
Se i soggetti non ce la fanno ad arrivare ai 30 min di attività aerobica continuata è utile fargli svolgere 2 sessioni di 15 min di attività continuata, inframezzaata da una piccola pausa; questo può essere importante specialmente nei primi giorni di corso, non tanto perdere peso, ma per acquistare condizione fisica che permetta di arrivare, dopo un breve periodo, a completare i 30 min di attività aerobica continuata.
Inoltre è fondamentale lavorare molto anche sull’aspetto psicologico, per cui cercare di mettere a proprio agio tutti i soggetti, spronarli a fare le cose, anche le più semplici, e fare in modo che la loro autostima accresca.

domenica 30 novembre 2008

L'ATTIVITA' FISICA FA BENE AL CERVELLO


L'attività fisica protegge il tessuto nervoso
Alcune sostanze (IGF-1 e anandamide), la cui produzione è stimolata dall'attività motoria, attivano la neurogenesi
Lo sport fa bene al cervello. Infatti è ormai dimostrato che l'esercizio fisico svolge un ruolo protettivo nei confronti del tessuto nervoso. Soprattutto l'attività aerobica (correre, camminare, ecc.) ha un'azione del tutto benefica in quanto migliora le abilità cognitive, ha un'azione antinvecchiamento cerebrale, migliora i deficit neurologici e motori causati dal alcune patologie neurodegenerative come il Parkinson, l'Alzheimer e la Sclerosi Multipla. Questi effetti positivi sono dovuti alla stimolazione delle cellule staminali cerebrali. Già da anni (circa dal 2000) si conoscono i vari meccanismi con cui l'attività fisica stimola la neurogenesi. Sono due le sostanze neuroattive implicate in quest'azione. Si tratta dell'IGF-1 (fattore insulino-simile di primo tipo) e dell'anandamide e vengono liberate dai muscoli durante il movimento e tramite il circolo sanguigno arrivano al cervello. Una ricerca spagnola, svolta a Madrid presso l'Istituto Cajal, ha dimostrato che, durante l'esercizio fisico, l'IGF-1 circolante viene assorbito meglio dal cervello, a livello del quale stimola la sintesi di BDNF e stimola l'eliminazione della proteina beta-amiloide (la proteina che si accumula nei pazienti affetti da Alzheimer).I livelli di IGF-1 nel sangue rimangono però inalterati perchè la quantità in eccesso viene assorbita dai muscoli e dal cervello. Per quanto riguarda la seconda molecola, l'anandamide, questa si lega al recettore cannabinoide di primo tipo, lo stesso a cui si lega anche la marijuana. Dopo giorni di attività, nel sangue delle persone allenate alla corsa a piedi e in bici, i livelli della sostanza aumentano. Si tratta di una sostanza grassa e come tale può passare facilmente dal sangue periferico al cervello attraverso la barriera ematoencefalica. Sembra, da recenti studi, che il sistema endocannabinoide si attivi anche dopo 45 minuti di cammino a passo svelto. Inoltre questi segnali che partono dai muscoli e arrivano al cervello, stimolano anche la produzione del fattore nervoso di derivazione cerebrale - il BDNF - che attalmente è oggetto di studi per le sue possibili applicazioni nella terapia dei danni neurologici causati da ictus o da malattie degenerative. Le proprietà del BDNF sono molte. In laboratorio, infatti, è stata dimostrata la sua capacità di aumentare la sopravvivenza dei neuroni e di promuovere la crescita dei prolungamenti cellulari dei neuroni (dendriti e assoni). La somministrazione del BDNF negli animali protegge l'ippocampo e la corteccia dai danni prodotti da un'ischemia cerebrale. Inoltre è stata dimostrata anche la capacità di aumentare la plasticità cerebrale, cioè aumenta la capacità di creare nuove connessioni (sinapsi) soprattutto a livello dell'ippocampo. Infatti negli animali di laboratorio con deficit del gene deputato alla sintesi di questa sostanza, si osserva difficoltà di apprendimento e sinapsi più deboli. Infine il BDNF a sua volta è stimolato dalla serotonina che, a sua volta, viene stimolata dall'attività fisica.Esiste quindi una rete di relazioni tra le sostanze che stimolano le staminali e proteggono il cervello e queta rete è promossa dall'attività fisica. Ma anche l'alimentazione ha un ruolo fondamentale. Recentemente un gruppo di neurofisiologi giapponesi ha dimostrato con studi condotti su animali di laboratorio, che un'alimentazione ricca di DHA (acido docosaesaenoico, omega-3 a catena lunga) promuove la formazione di nuove cellule nervose nell'ippocampo. Quest'ultima scoperta è riportata su Neuroscience. Redazione MolecularLab.it (03/05/2007)
Dossier Neurologia
Descrizione:Alcune sostanze (IGF-1 e anandamide), la cui produzione è stimolata dall'attività motoria, attivano la neurogenesiCategoria:Biochimica e Biologia CellulareTag:IGF-1, anandamide, neurogenesi,

mercoledì 22 ottobre 2008

cosa è l'obesita'....quando si tratta dei nostri bimbi?

L’obesità è una malattia complessa dovuta a fattori genetici, ambientali ed individuali con conseguente alterazione del bilancio energetico ed accumulo eccessivo di tessuto adiposo nell’organismo.Studi su famiglie e gemelli hanno sempre sostenuto l’ipotesi di un’influenza genetica, responsabile delle cosiddette anomalie metaboliche che faciliterebbero l’insorgenza dell’obesità in presenza di alta disponibilità di alimenti e cronico sedentarismo. Esistono poi fattori individuali che possono contribuire all’eccessiva introduzione di cibo: si tratta solitamente di comportamenti impulsivi o compulsivi secondari a depressione e\o ansia.Anche alcuni farmaci possono, se utilizzati a lungo, facilitare l’insorgenza dell’obesità.In molti paesi industrializzati colpisce fino ad un terzo della popolazione adulta, con un’incidenza in aumento in età pediatrica: rappresenta quindi, senza dubbio, l’epidemia di più vaste proporzioni del terzo millennio e, al contempo, la più comune patologia cronica del mondo occidentale.L’obesità costituisce un serio fattore di rischio per mortalità e morbilità, sia di per sé (complicanze cardiovascolari e respiratorie) sia per le patologie ad essa frequentemente associate quali diabete mellito, ipertensione arteriosa, iperlipidemia, calcolosi della colecisti, osteoartrosi.
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Ogni 100 bambini della terza classe elementare 24 sono in sovrappeso e 12 obesi: complessivamente si stimano un milione di bimbi tra i sei e gli 11 anni a rischio, più di un bambino su tre. E' quanto emerge dalla rilevazione condotta nelle scuole italiane dal ministero del Lavoro, della Salute e delle Politiche sociali, coordinata dall'Istituto superiore della sanità, dal titolo 'Okkio alla salute'.Lo studio, condotto da 1.028 operatori del servizio sanitario nazionale, ha misurato peso e altezza di circa 46 mila bambini in 2.610 scuole elementari.I maggiori problemi si registrano nelle regioni del Sud, Campania in testa, dove si registra un tasso di obesità del 21%, seguita da Sicilia e Calabria rispettivamente con 17% e 16%, contro una media nazionale del 12% e i valori minimi del 4% in Friuli-Venezia Giulia e 7% in Sardegna. Tra le cattive abitudini alimentari, un'assente o scorretta prima colazione: infatti l'11% dei bimbi la salta e il 28% non la fa in maniera adeguata. Scarsa anche l'attività fisica, dal momento che solo un bambino su 10 svolge il livello di attività raccomandato per la sua età. Al contrario, un bambino su quattro guarda la televisione per quattro o più ore al giorno. Non sono esenti da colpe i genitori, dal momento che tra le mamme di bambini in sovrappeso o obesi, ben quattro su 10 non ritengono che il proprio figlio abbia un peso eccessivo rispetto all'altezza.fonte: ANSA.it

martedì 21 ottobre 2008

chi è il laureato in scienze motorie?

ESERCIZIO FISICO : PREVENZIONE PRIMARIA E SECONDARIA
Dott. Domenico MARTONE dottorando in “Scienze del Movimento Umano e della Salute” Università degli Studi di Napoli “Parthenope” Negli ultimi 10-15 anni è cresciuto in maniera evidente l’interesse della comunità scientifica internazionale per l’esercizio fisico, quale strumento di prevenzione primaria e secondaria di molte malattie cornico-degenerative. Obesità, diabete di tipo 2, dislipidemie, aterosclerosi, ipertensione arteriosa sono alcune delle patologie più frequenti nella nostra società. L’aumento di tali patologie negli ultimi 50 anni soprattutto nelle società con maggior benessere, indica che la loro insorgenza è fortemente legata a fattori ambientali. Fenomeni quali lo sviluppo economico, la modernizzazione e l’urbanizzazione hanno portato ad un cambiamento dello stile di vita che ha favorito l’aumento dell’introito calorico ma soprattutto la riduzione del dispendio energetico. Basti pensare che mediamente il dispendio energetico quotidiano è diminuito dal tempo degli ominidi da un valore di 49 kcal per kg di peso corporeo al giorno ad un valore di 32 kcal/kg pro die degli esseri umani contemporanei (1). Il genoma umano si è modulato e adattato nel tempo ed i geni sono stati selezionati in un’era in cui l’attività fisica era obbligatoria, poiché la caccia rappresentava l’unica fonte di sopravvivenza per nostri i antenati. Come conseguenza l’espressione di tali geni mal si adatta all’attuale stile di vita sedentario e si manifesta con fenotipi patologici. I geni cioè, si sono evoluti con l’aspettativa di richiedere una determinata soglia di attività fisica per la loro espressione fisiologica e questa venendo a mancare negli attuali stili di vita sedentari ha perturbato i consolidati meccanismi omeostatici (2). La riduzione dell’attività fisica è stata riconosciuta dall’OMS come uno dei maggiori fattori di rischio di malattia, disabilità e morte. Studi di metanalisi evidenziano che ogni anno circa 2 milioni di morti possono essere attribuiti al sedentarismo (3). L’importanza dell’esercizio fisico quale strumento per la prevenzione o mantenimento del buono stato di salute è documentata da numerosi studi epidemiologici e clinici. Per tale ragione, l’esercizio fisico si propone come mezzo preventivo, terapeutico ed efficace in numerose patologie soprattutto dismetaboliche. Se da un lato negli ultimi anni è aumentato l’interesse per l’esercizio fisico dall’altro non si è dato abbastanza risalto al fatto che la sua pratica non è esente da rischi se viene effettuata in maniera inadeguata. L’esercizio fisico come un farmaco dev’essere “prescritto nella giusta dose”. L’utilizzo di tutti questi termini medici non è casuale e nemmeno attuale visto che già Ippocrate ai suoi tempi affermava: "Se fossimo in grado di fornire a ciascuno la giusta dose di nutrimento e di esercizio fisico, né in difetto né in eccesso, avremmo trovato la strada per la salute". L’esercizio fisico deve essere quindi prescritto e strutturato in maniera individualizzata, infatti, lo stesso tipo può produrre degli effetti diversi in persone diverse. Nel caso del paziente diabetico, ad esempio, la programmazione dell’esercizio fisico deve tenere conto dei rischi aggiuntivi propri della malattia diabetica (micro e macroangiopatie, neuropatie, retinopatie ecc.). La programmazione, quindi, dovrebbe essere il più possibile personalizzata e quindi differenziata per ottenere i migliori risultati ed una minore percentuale di rischi. Questo aspetto è particolarmente importante visto che, con l’aumento della vita media e il progressivo invecchiamento della popolazione, l’utenza nei centri fitness e nelle palestre sta rapidamente cambiando, per cui si sta passando dal cliente che era spinto da un’esigenza puramente estetica o di passatempo ad un cliente/paziente che vuole attraverso l’esercizio fisico migliorare il proprio stato di salute. La redazione e l’adozione dei programmi di esercizio fisico adattato per pazienti quali il diabetico tipo II, l’obeso, il dislipidemico ecc., oggi rappresenta l’ultima fase di un percorso che non può essere improvvisato ma che presuppone competenze specifiche. Il laureato in Scienze delle Attività Motorie e Sportive (classe 33) e ancora di più il laureato specializzato in “Scienze delle Attività Motorie Preventive e Adattative” (76/S), alla fine del percorso di studi, sulla base delle conoscenze scientifiche fisiologiche e fisiopatologiche per l’analisi e la valutazione della funzione motoria umana, è in grado di interagire con altre figure professionali (il medico, il nutrizionista, lo psicologo, ecc.) per redigere e supervisionare un programma di attività motoria individualizzato, con l’obbiettivo finale di cambiare lo stile di vita del paziente. Difatti, affinché gli effetti positivi dell’esercizio si mantengano nel tempo, esso deve diventare parte integrante della vita della persona. Per fare ciò è indispensabile che il medico lavori in equipe con lo specialista del movimento e altre figure professionali in modo da rafforzare nel paziente la motivazione che quello che sta facendo ha la stessa importanza (se non superiore in alcuni casi) a quella dell’assumere un farmaco. Risulta evidente, quindi, in virtù di quanto detto finora che la stesura di un protocollo di esercizio fisico adattato non può essere improvvisato ma richiede competenze specifiche. Le istituzioni pubbliche e private sono chiamate a valorizzare e tutelare i laureati specializzati del movimento umano attraverso un’opportuna regolamentazione di tutto il settore. Il paziente o il cittadino che si accinge a praticare l’esercizio fisico deve avere la possibilità di sapere, così come avviene per il medico e per altre professioni sanitarie, che chi lo assiste è un professionista per il quale ogni intervento non è casuale ma supportato da un percorso di studi universitari. Probabilmente ci vorrà ancora del tempo prima che tutto ciò avvenga, nel frattempo compito dei professionisti del movimento è quello di operare mettendo in campo tutte le conoscenze che gli derivano dal proprio bagaglio formativo, in modo che l’utenza, oramai sempre più esigente, sia in grado di discernere fra l’istruttore e il laureato specializzato del movimento umano. Bibliografia 1. Cordain L. et al., (2002). “The pardoxical nature of hunter-gatherer diets:meat-based, yet nonatherogenic”. European Journal of Clinical Nutrition 56, suppl. 1, S42-52. 2. Booth FW et al., (2002). “Exercise and gene expression: physiological regulation of the human genome through physical activity”. Journal of Physiology Sep 1;543(Pt 2):399-411. Review 3. World Health Organization (2002) The world health report: Reducing risks and promoting healthy life. http://www.who.int/ whr/2002 Inserito il 11, May 2007
Da: redazionepassi-->