ESERCIZIO FISICO : PREVENZIONE PRIMARIA E SECONDARIA
Dott. Domenico MARTONE dottorando in “Scienze del Movimento Umano e della Salute” Università degli Studi di Napoli “Parthenope” Negli ultimi 10-15 anni è cresciuto in maniera evidente l’interesse della comunità scientifica internazionale per l’esercizio fisico, quale strumento di prevenzione primaria e secondaria di molte malattie cornico-degenerative. Obesità, diabete di tipo 2, dislipidemie, aterosclerosi, ipertensione arteriosa sono alcune delle patologie più frequenti nella nostra società. L’aumento di tali patologie negli ultimi 50 anni soprattutto nelle società con maggior benessere, indica che la loro insorgenza è fortemente legata a fattori ambientali. Fenomeni quali lo sviluppo economico, la modernizzazione e l’urbanizzazione hanno portato ad un cambiamento dello stile di vita che ha favorito l’aumento dell’introito calorico ma soprattutto la riduzione del dispendio energetico. Basti pensare che mediamente il dispendio energetico quotidiano è diminuito dal tempo degli ominidi da un valore di 49 kcal per kg di peso corporeo al giorno ad un valore di 32 kcal/kg pro die degli esseri umani contemporanei (1). Il genoma umano si è modulato e adattato nel tempo ed i geni sono stati selezionati in un’era in cui l’attività fisica era obbligatoria, poiché la caccia rappresentava l’unica fonte di sopravvivenza per nostri i antenati. Come conseguenza l’espressione di tali geni mal si adatta all’attuale stile di vita sedentario e si manifesta con fenotipi patologici. I geni cioè, si sono evoluti con l’aspettativa di richiedere una determinata soglia di attività fisica per la loro espressione fisiologica e questa venendo a mancare negli attuali stili di vita sedentari ha perturbato i consolidati meccanismi omeostatici (2). La riduzione dell’attività fisica è stata riconosciuta dall’OMS come uno dei maggiori fattori di rischio di malattia, disabilità e morte. Studi di metanalisi evidenziano che ogni anno circa 2 milioni di morti possono essere attribuiti al sedentarismo (3). L’importanza dell’esercizio fisico quale strumento per la prevenzione o mantenimento del buono stato di salute è documentata da numerosi studi epidemiologici e clinici. Per tale ragione, l’esercizio fisico si propone come mezzo preventivo, terapeutico ed efficace in numerose patologie soprattutto dismetaboliche. Se da un lato negli ultimi anni è aumentato l’interesse per l’esercizio fisico dall’altro non si è dato abbastanza risalto al fatto che la sua pratica non è esente da rischi se viene effettuata in maniera inadeguata. L’esercizio fisico come un farmaco dev’essere “prescritto nella giusta dose”. L’utilizzo di tutti questi termini medici non è casuale e nemmeno attuale visto che già Ippocrate ai suoi tempi affermava: "Se fossimo in grado di fornire a ciascuno la giusta dose di nutrimento e di esercizio fisico, né in difetto né in eccesso, avremmo trovato la strada per la salute". L’esercizio fisico deve essere quindi prescritto e strutturato in maniera individualizzata, infatti, lo stesso tipo può produrre degli effetti diversi in persone diverse. Nel caso del paziente diabetico, ad esempio, la programmazione dell’esercizio fisico deve tenere conto dei rischi aggiuntivi propri della malattia diabetica (micro e macroangiopatie, neuropatie, retinopatie ecc.). La programmazione, quindi, dovrebbe essere il più possibile personalizzata e quindi differenziata per ottenere i migliori risultati ed una minore percentuale di rischi. Questo aspetto è particolarmente importante visto che, con l’aumento della vita media e il progressivo invecchiamento della popolazione, l’utenza nei centri fitness e nelle palestre sta rapidamente cambiando, per cui si sta passando dal cliente che era spinto da un’esigenza puramente estetica o di passatempo ad un cliente/paziente che vuole attraverso l’esercizio fisico migliorare il proprio stato di salute. La redazione e l’adozione dei programmi di esercizio fisico adattato per pazienti quali il diabetico tipo II, l’obeso, il dislipidemico ecc., oggi rappresenta l’ultima fase di un percorso che non può essere improvvisato ma che presuppone competenze specifiche. Il laureato in Scienze delle Attività Motorie e Sportive (classe 33) e ancora di più il laureato specializzato in “Scienze delle Attività Motorie Preventive e Adattative” (76/S), alla fine del percorso di studi, sulla base delle conoscenze scientifiche fisiologiche e fisiopatologiche per l’analisi e la valutazione della funzione motoria umana, è in grado di interagire con altre figure professionali (il medico, il nutrizionista, lo psicologo, ecc.) per redigere e supervisionare un programma di attività motoria individualizzato, con l’obbiettivo finale di cambiare lo stile di vita del paziente. Difatti, affinché gli effetti positivi dell’esercizio si mantengano nel tempo, esso deve diventare parte integrante della vita della persona. Per fare ciò è indispensabile che il medico lavori in equipe con lo specialista del movimento e altre figure professionali in modo da rafforzare nel paziente la motivazione che quello che sta facendo ha la stessa importanza (se non superiore in alcuni casi) a quella dell’assumere un farmaco. Risulta evidente, quindi, in virtù di quanto detto finora che la stesura di un protocollo di esercizio fisico adattato non può essere improvvisato ma richiede competenze specifiche. Le istituzioni pubbliche e private sono chiamate a valorizzare e tutelare i laureati specializzati del movimento umano attraverso un’opportuna regolamentazione di tutto il settore. Il paziente o il cittadino che si accinge a praticare l’esercizio fisico deve avere la possibilità di sapere, così come avviene per il medico e per altre professioni sanitarie, che chi lo assiste è un professionista per il quale ogni intervento non è casuale ma supportato da un percorso di studi universitari. Probabilmente ci vorrà ancora del tempo prima che tutto ciò avvenga, nel frattempo compito dei professionisti del movimento è quello di operare mettendo in campo tutte le conoscenze che gli derivano dal proprio bagaglio formativo, in modo che l’utenza, oramai sempre più esigente, sia in grado di discernere fra l’istruttore e il laureato specializzato del movimento umano. Bibliografia 1. Cordain L. et al., (2002). “The pardoxical nature of hunter-gatherer diets:meat-based, yet nonatherogenic”. European Journal of Clinical Nutrition 56, suppl. 1, S42-52. 2. Booth FW et al., (2002). “Exercise and gene expression: physiological regulation of the human genome through physical activity”. Journal of Physiology Sep 1;543(Pt 2):399-411. Review 3. World Health Organization (2002) The world health report: Reducing risks and promoting healthy life. http://www.who.int/ whr/2002 Inserito il 11, May 2007
Da: redazionepassi-->
Dott. Domenico MARTONE dottorando in “Scienze del Movimento Umano e della Salute” Università degli Studi di Napoli “Parthenope” Negli ultimi 10-15 anni è cresciuto in maniera evidente l’interesse della comunità scientifica internazionale per l’esercizio fisico, quale strumento di prevenzione primaria e secondaria di molte malattie cornico-degenerative. Obesità, diabete di tipo 2, dislipidemie, aterosclerosi, ipertensione arteriosa sono alcune delle patologie più frequenti nella nostra società. L’aumento di tali patologie negli ultimi 50 anni soprattutto nelle società con maggior benessere, indica che la loro insorgenza è fortemente legata a fattori ambientali. Fenomeni quali lo sviluppo economico, la modernizzazione e l’urbanizzazione hanno portato ad un cambiamento dello stile di vita che ha favorito l’aumento dell’introito calorico ma soprattutto la riduzione del dispendio energetico. Basti pensare che mediamente il dispendio energetico quotidiano è diminuito dal tempo degli ominidi da un valore di 49 kcal per kg di peso corporeo al giorno ad un valore di 32 kcal/kg pro die degli esseri umani contemporanei (1). Il genoma umano si è modulato e adattato nel tempo ed i geni sono stati selezionati in un’era in cui l’attività fisica era obbligatoria, poiché la caccia rappresentava l’unica fonte di sopravvivenza per nostri i antenati. Come conseguenza l’espressione di tali geni mal si adatta all’attuale stile di vita sedentario e si manifesta con fenotipi patologici. I geni cioè, si sono evoluti con l’aspettativa di richiedere una determinata soglia di attività fisica per la loro espressione fisiologica e questa venendo a mancare negli attuali stili di vita sedentari ha perturbato i consolidati meccanismi omeostatici (2). La riduzione dell’attività fisica è stata riconosciuta dall’OMS come uno dei maggiori fattori di rischio di malattia, disabilità e morte. Studi di metanalisi evidenziano che ogni anno circa 2 milioni di morti possono essere attribuiti al sedentarismo (3). L’importanza dell’esercizio fisico quale strumento per la prevenzione o mantenimento del buono stato di salute è documentata da numerosi studi epidemiologici e clinici. Per tale ragione, l’esercizio fisico si propone come mezzo preventivo, terapeutico ed efficace in numerose patologie soprattutto dismetaboliche. Se da un lato negli ultimi anni è aumentato l’interesse per l’esercizio fisico dall’altro non si è dato abbastanza risalto al fatto che la sua pratica non è esente da rischi se viene effettuata in maniera inadeguata. L’esercizio fisico come un farmaco dev’essere “prescritto nella giusta dose”. L’utilizzo di tutti questi termini medici non è casuale e nemmeno attuale visto che già Ippocrate ai suoi tempi affermava: "Se fossimo in grado di fornire a ciascuno la giusta dose di nutrimento e di esercizio fisico, né in difetto né in eccesso, avremmo trovato la strada per la salute". L’esercizio fisico deve essere quindi prescritto e strutturato in maniera individualizzata, infatti, lo stesso tipo può produrre degli effetti diversi in persone diverse. Nel caso del paziente diabetico, ad esempio, la programmazione dell’esercizio fisico deve tenere conto dei rischi aggiuntivi propri della malattia diabetica (micro e macroangiopatie, neuropatie, retinopatie ecc.). La programmazione, quindi, dovrebbe essere il più possibile personalizzata e quindi differenziata per ottenere i migliori risultati ed una minore percentuale di rischi. Questo aspetto è particolarmente importante visto che, con l’aumento della vita media e il progressivo invecchiamento della popolazione, l’utenza nei centri fitness e nelle palestre sta rapidamente cambiando, per cui si sta passando dal cliente che era spinto da un’esigenza puramente estetica o di passatempo ad un cliente/paziente che vuole attraverso l’esercizio fisico migliorare il proprio stato di salute. La redazione e l’adozione dei programmi di esercizio fisico adattato per pazienti quali il diabetico tipo II, l’obeso, il dislipidemico ecc., oggi rappresenta l’ultima fase di un percorso che non può essere improvvisato ma che presuppone competenze specifiche. Il laureato in Scienze delle Attività Motorie e Sportive (classe 33) e ancora di più il laureato specializzato in “Scienze delle Attività Motorie Preventive e Adattative” (76/S), alla fine del percorso di studi, sulla base delle conoscenze scientifiche fisiologiche e fisiopatologiche per l’analisi e la valutazione della funzione motoria umana, è in grado di interagire con altre figure professionali (il medico, il nutrizionista, lo psicologo, ecc.) per redigere e supervisionare un programma di attività motoria individualizzato, con l’obbiettivo finale di cambiare lo stile di vita del paziente. Difatti, affinché gli effetti positivi dell’esercizio si mantengano nel tempo, esso deve diventare parte integrante della vita della persona. Per fare ciò è indispensabile che il medico lavori in equipe con lo specialista del movimento e altre figure professionali in modo da rafforzare nel paziente la motivazione che quello che sta facendo ha la stessa importanza (se non superiore in alcuni casi) a quella dell’assumere un farmaco. Risulta evidente, quindi, in virtù di quanto detto finora che la stesura di un protocollo di esercizio fisico adattato non può essere improvvisato ma richiede competenze specifiche. Le istituzioni pubbliche e private sono chiamate a valorizzare e tutelare i laureati specializzati del movimento umano attraverso un’opportuna regolamentazione di tutto il settore. Il paziente o il cittadino che si accinge a praticare l’esercizio fisico deve avere la possibilità di sapere, così come avviene per il medico e per altre professioni sanitarie, che chi lo assiste è un professionista per il quale ogni intervento non è casuale ma supportato da un percorso di studi universitari. Probabilmente ci vorrà ancora del tempo prima che tutto ciò avvenga, nel frattempo compito dei professionisti del movimento è quello di operare mettendo in campo tutte le conoscenze che gli derivano dal proprio bagaglio formativo, in modo che l’utenza, oramai sempre più esigente, sia in grado di discernere fra l’istruttore e il laureato specializzato del movimento umano. Bibliografia 1. Cordain L. et al., (2002). “The pardoxical nature of hunter-gatherer diets:meat-based, yet nonatherogenic”. European Journal of Clinical Nutrition 56, suppl. 1, S42-52. 2. Booth FW et al., (2002). “Exercise and gene expression: physiological regulation of the human genome through physical activity”. Journal of Physiology Sep 1;543(Pt 2):399-411. Review 3. World Health Organization (2002) The world health report: Reducing risks and promoting healthy life. http://www.who.int/ whr/2002 Inserito il 11, May 2007
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